Le reliquie

Giorgio Maniace decise di donare alla casa regnante le preziose reliquie della catanese Sant'Agata e della siracusana Santa Lucia, già conosciute e venerate in tutto il Mediterraneo.

Pubblicato il:

20 aprile 2022

Ultima revisione:

20 aprile 2022

Il triste distacco

Nel 1040, dopo due secoli di dominazione araba, i Bizantini comandati dal generale Giorgio Maniace tentarono di riconquistare la Sicilia. La loro vittoria fu soltanto temporanea, anche perché Stefano, il responsabile della flotta bizantina, commise il grave errore di farsi sfuggire il più importante prigioniero di guerra, il capo militare arabo Abd Allah. Per questa ragione il generale Maniace inflisse a Stefano una severa punizione, ignaro che l’ammiraglio fosse un membro della casa imperiale di Costantinopoli. Per sanare l’incidente diplomatico e recuperare la stima dei sovrani che gli avevano già ordinato il rientro in patria, Giorgio Maniace decise di donare alla casa regnante le preziose reliquie della catanese sant’Agata e della siracusana santa Lucia, già conosciute e venerate in tutto il Mediterraneo. La tradizione racconta che un fortunale impedì la partenza della nave per tre giorni, quasi che sant’Agata non volesse staccarsi dalla città nella quale era nata e aveva subito il martirio. Alla fine i catanesi, addolorati e inermi di fronte alla decisione del conquistatore, videro allontanarsi a bordo di una nave bizantina le preziose reliquie della loro patrona. Una fontanella con un’effigie di sant’Agata che guarda a oriente, posta di fronte alla marina, ricorda il punto dal quale i catanesi in lacrime assistettero impotenti a questo furto.


Il ritorno in patria

Dovettero passare 86 anni prima che le reliquie di sant’Agata tornassero in patria. Si dice che fosse stata la stessa santa a volerlo, richiedendolo espressamente a due militari a lei devoti, il provenzale Gisliberto e il pugliese Goselmo. Più volte la santa apparve loro in sogno, finché una notte i due decisero di sottrarre le sacre spoglie dalla chiesa di Costantinopoli dove erano venerate. Per sfuggire più facilmente ai controlli dovettero sezionare il corpo della santa in cinque parti, per poi nasconderle dentro le faretre in cui normalmente si riponevano le frecce. Si narra che poi le avessero ricoperte con petali di rosa profumati. I due militari presero una nave e si diressero in Sicilia, ma prima si fermarono in Puglia, regione in cui era nato Goselmo, e per suo desiderio vi lasciarono una preziosa reliquia, una mammella, ancora oggi venerata nella chiesa di Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto, a Galatina (Lecce). Quando giunsero a Messina, i due soldati avvertirono il vescovo di Catania, Maurizio, che le reliquie di sant’Agata erano finalmente giunte vicino alla città. li vescovo, che in quei giorni si trovava nella residenza estiva ad Acicastello, fu enormemente felice, ma per prudenza, prima di diffondere la notizia in città, volle accertarsi che i due dicessero la verità e che quelle che avevano trasportato fossero realmente le spoglie della santa. Inviò a Messina due monaci fidatissimi, Oldmanno e Luca, per il riconoscimento: le reliquie furono confrontate con i referti che erano stati redatti durante le ultime ricognizioni. Soltanto dopo la conferma dei monaci, il vescovo Maurizio diede la notizia ai catanesi. Era il 17 agosto 1126. Il popolo, svegliato durante la notte da uno scampanio a festa, non perse tempo a cambiarsi d’abito e si riversò in strada così come si trovava, anche a piedi nudi e in camicia da notte, per accogliere prima possibile le reliquie finalmente recuperate. Lo storico incontro dei catanesi con le spoglie di sant’Agata avvenne nel quartiere di Ognina, dove in seguito fu eretta una chiesa che nel 1381 la lava circondo senza distruggere, ma che più recentemente fu abbandonata e infine lasciata andare in rovina. A con ferma dell’eccezionalità di quell’evento del 1126, i documenti storici registrano un miracolo, compiuto quella stessa notte. Una donna, cieca e paralitica dalla nascita, riacquistò vista e uso delle gambe nell’atto di prostrarsi davanti al sacro tesoro. I catanesi furono così riconoscenti ai due soldati che li elessero cittadini onorari e li vollero eterni custodi delle reliquie della santa: le toro spoglie riposano in cattedrale, in una parete della cappella della Madonna, accanto a quella di sant’Agata, anche se il punto esatto non è indicato.


Il Busto

Dal 1376 la testa e il torace di sant’Agata sono custoditi in un prezioso reliquiario d’argento lavorato finemente a sbalzo e decorato con ceselli e smalto. Ha l’aspetto di una statua a mezzo busto, con l’incarnato del volto in fine smalto e il biondo dei capelli in oro, in realtà, però, è un raffinato forziere, cavo all’interno, in cui sono custodite le reliquie della testa, del costato e di alcuni organi interni. L’allora vescovo di Catania, un benedettino francese oriundo di Limoges, l’aveva commissionato in Francia, nel 1373, all’orafo senese Giovanni Di Bartolo. La devozione dei fedeli arricchisce continuamente di gioielli, ori e pietre preziose la finissima rete che ricopre il Busto. Tra gli oltre 250 pezzi che a più strati ricoprono il reliquiario, alcuni sono doni di particolare valore. La corona, un gioiello di 1370 grammi tempestato di pietre preziose, fu, secondo una tradizione non confermata, un dono di Riccardo I d’inghilterra detto “ Cuor di Leone ”, che giunse in Sicilia nel 1190, durante una crociata. La regina Margherita di Savoia, nel 1881, offrì un prezioso anello, mentre il vicerè Ferdinando Acugna una massiccia collana quattrocentesca. Vincenzo Bellini donò alla patrona della sua città un riconoscimento che era stato dato a lui: la croce di cavaliere della Legion d’Onore. Anche papi, vescovi e cardinali negli anni hanno arricchito il tesoro di sant’Agata di collane e croci pettorali, oggetti preziosi che si aggiungono ai tantissimi ex voto che il popolo catanese continua a offrire alla santuzza. Nella stessa data in cui fu realizzato il Busto, gli orafi di Limoges eseguirono anche i reliquiari per le membra: uno per ciascun femore, uno per ciascun braccio, uno per ciascuna gamba. I reliquiari per la mammella e per il velo furono eseguiti più tardi, nel 1628. Attraverso il vetro delle teche, che protegge ma non nasconde, durante la festa di sant’Agata si può vedere il miracoloso velo, una striscia di seta rosso cupo, lunga 4 metri e alta 50 centimetri, che le ricognizioni garantiscono ancora morbida, come se fosse stata tessuta di recente. Attraverso il reliquiario della mano destra e del piede destro si possono scorgere i tessuti del corpo della santa ancora miracolosamente intatti.


Lo scrigno

Le reliquie del corpo, che per secoli furono conservate in una cassa di legno (oggi custodita nella chiesa di Sant’Agata la Vetere), daI 1576 si trovano in uno scrigno rettangolare d’argento alto 85 centimetri, lungo un metro e 48, largo 56. Il coperchio è suddiviso in 14 riquadri che raffigurano altrettante sante che onorano Agata, la prima vergine martire della chiesa. All’interno si conservano anche due documenti storici: la bolla pontificia di Urbano Il che conferma solennemente che sant’Agata nacque a Catania e non a Palermo, come voleva un’altra tradizione, e una pergamena del 1666 che proclama sant’Agata protettrice perpetua di Messina.


La reliquia del seno

Fra tutte le città italiane di cui sant’Agata è compatrona, Gallipoli e Galatina, in Puglia, sono coinvolte in una singolare contesa che vede come protagonista una reliquia di sant’Agata, la mammella. Una leggenda diffusa in Puglia spiegherebbe con un miracolo la presenza della reliquia a Gallipoli. Si dice che l’8 agosto del 1126 sant’Agata apparve in sogno a una donna e la avverti che il suo bambino stringeva qualcosa tra le labbra. La donna si svegliò e ne ebbe conferma, ma non riuscì a convincerlo ad aprire la bocca. Tentò a lungo: poi, in preda alla disperazione, si rivolse al vescovo. Il prelato recitò una litania invocando tutti i santi, e soltanto quando pronunciò il nome di Agata il bimbo aprì la bocca. Da essa venne fuori una mammella, evidentemente quella di sant’Agata. La reliquia rimase a Gallipoli, nella basilica dedicata alla santa, dal 1126 al 1389, quando il principe Del Balzo Orsini la trasferì a Galatina, dove fece costruire la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto, nella quale è ancora oggi custodita la reliquia, presso un convento di frati cappuccini. Le altre reliquie A Palermo, nella Cappella regia, sono custodite le reliquie dell’ulna e del radio di un braccio. A Messina, nel monastero del SS. Salvatore, un osso del braccio. Ad Ali, in provincia di Messina, parte di un osso del braccio. A Roma, in diverse chiese si conservano frammenti del velo. A Sant’Agata dei Goti, in provincia di Benevento, si conserva un dito. Altre piccole reliquie si trovano a Sant’Agata di Bianco, a Capua, a Capri, a Siponto, a Foggia, a Firenze, a Pistoia, a Radicofani, a Udine, a Venalzio, a Ferrara. Anche all’estero si custodiscono piccole reliquie di sant’Agata. in Spagna: a Palencia, a Oviedo e a Barcellona. In Francia: a Cambrai, Hanan, Breau Preau e Douai. In Belgio: a Bruxelles, a Thienen, a Laar; ad Anversa. E ancora, in Lussemburgo, nella Repubblica Ceca (Praga) e in Germania (Colonia).