Di Mario Vargas Llosa
Regia di Carlo Sciaccaluga
Con Angelo Tosto, Barbara Gallo, Giorgia Coco, Valerio Santi
Scene e costumi di Anna Varaldo
Musiche originali di Andrea Nicolini
Produzione Teatro Stabile di Catania, Teatro Nazionale di Genova
I racconti della peste è una magistrale opera teatrale basata sul Decameron, nata del 2015 dalla penna dello scrittore premio Nobel peruviano Mario Vargas Llosa, e mai rappresentata in Italia.
La situazione di partenza è quasi la stessa del Decameron di Boccaccio: nel 1348, mentre la Peste Nera devasta le città, cinque persone si ritirano in una villa di campagna per isolarsi dal contagio. Tra loro, Boccaccio stesso, che accompagnerà i suoi quattro ospiti in una fantasia che non solo li allontani da una realtà squallida e spaventosa, ma crei un mondo nuovo, dove la peste, forse, non esiste più.
I “ racconti” del titolo sono infatti narrati e agiti (e questa è la differenza fondamentale con l’opera di Boccaccio) dai protagonisti. Ognuno di loro si trasformerà in molti diversi personaggi, e distinguere tra realtà e finzione diventerà impossibile. Perché la finzione crea la realtà, e, per citare Oscar Wilde, la vita imita l’arte più di quanto l’arte imiti la vita.
Nelle parole di Vargas Llosa "Le storie di Boccaccio trasportano i lettori (e i suoi ascoltatori) in un mondo di fantasia, ma quel mondo è radicato nella realtà dell’esperienza vissuta. Per questo, oltre a far loro condividere un sogno, li formano e insegnano loro a capire meglio il mondo reale, la vita quotidiana, con le sue miserie e le sue grandezze.”
La narrazione, l’umorismo, l’amore – in ogni sua forma – e le relazioni tra le classi sociali sono i cardini di quest’opera che cattura l’essenza dello spirito del Decamerone: lussuria e sensualità esacerbate dalla sensazione di crisi, di un abisso aperto, della fine del mondo. Sono sensazioni che abbiamo imparato a conoscere, con dolore, in questo tempo di pandemia e guerra, dove il nostro vivere quotidiano sembra sotto costante assedio e la tentazione di ritirarsi in se stessi, di negare l’esistenza di una comunità, si fa insopprimibile. Boccaccio e Vargas Llosa ci conducono in un mondo dove il racconto è condiviso, è fatto di parola e carne, ed è vissuto fino alle sue estreme conseguenze. In fondo, siamo anche di fronte a una meravigliosa apologia del teatro. Si crea insieme, si gioca insieme, si vive insieme, o non si vive affatto. Nel momento in cui l’essere umano smette di essere testimone di sé, non esiste più. Gli altri vivono in noi e noi in loro. Con, di fondo, una domanda eterna: cosa è reale? Perché come scriveva Pirandello: “ Una realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile.”