Incastonata nella sequenza ininterrotta di chiese e monasteri, che caratterizza la splendida via Crociferi, S. Benedetto può essere considerata uno dei punti più alti del decorativismo tardo-barocco catanese. La via Crociferi (che ha preso il nome dalla chiesa di S. Camillo dei Padri Crociferi che si trova proprio alla fine della strada) si inserisce in un contesto urbano di estremo inreresse; fu ricavata a metà altezza del pendio collinare sul quale poggiano anche il Teatro e l’odeon romani e aveva lo scopo di collegare la Porta del Re (sopra piazza Stesicoro) con il piano di S. Filippo (la piazza Mazzini).
Tra le peculiarità di questa strada (che è servita da scenario per celebri opere letterarie e cinematografiche) è la presenza del grande arco di S. Benedetto che congiunge la Badia Grande (che si trova a fianco della chiesa) e la Badia Piccola (di fronte).
Quest’ultima, per la grazia delle forme e l’armonia dell’insieme, è stata attribuita a G. Battista Vaccarini. L’attuale aspetto della chiesa di S. Benedetto risale alla ricostruzione dopo il terremoto del 1693 che aveva interamente distrutto l’antico tempio adorno di pitture, sculture, marmi e arredi preziosi; in quel tragico evento morirono anche 55 delle 60 religiose che vivevano negli edifici sorti accanto alla chiesa.
Nel luglio dello stesso anno si ricominciò a costruire il monastero, nel 1704 fu innalzato l’arco di S. Benedetto e nel 1708 cominciarono i lavori di sgombero e di ricostruzione della grande chiesa. La facciata (è ignoto l’autore) è in pietra calcarea con il primo ordine segnato dalle semicolonne con capitello che sorreggono una trabeazione dentellata e un timpano spezzato con le allegorie della Temperanza e della Fortezza. Altre statue a tutto tondo, caratteristiche di quella teatralità barocca che tende a trasformare le chiese in scenografie teatrali, rendono plastico il prospetto sul quale spicca il grande portone con le storie di S. Benedetto.
L’interno è preceduto da un vestibolo con pavimento di marmi policromi; le doppie gradinate a tenaglia sono sottolineate da una balaustrata sinuosa su cui poggiano otto figure di angeli. Alla fine della scalinata si trova una bussola a vetri incisi realizzata nel nostro secolo. La chiesa, a unica navata, è illuminata dalla luce che penetra dai sei finestroni sulla volta e dai raffinati candelieri a triplice voluta che poggiano sulla trabeazione. Bellissimo il pavimento in marmi policromi del tardo Seicento che fu recuperato dalle rovine del terremoto; di particolare interesse, per la preziosità, è l’altare maggiore in pietre dure, argento di bolla e oro di zecchini veneziani, eseguito fra il 1792 e il 1795 da V. Todaro e B. Matteo.
Nella calotta absidale, affrescata dal pittore messinese G. Tuccari (1667-1743), è la scena dell’incoronazione della Vergine. La volta fu decorata, sempre dal Tuccari, con episodi che narrano la vita e l’opera di S. Benedetto; nell’ampio spazio curvilineo il pittore ha distribuito tutta una serie di personaggi, allegorie, e decori che risplendono sul fondo a lumeggiature d’oro. Sopra la bussola a vetri è la settecentesca cantoria dorata dietro la quale si nascondevano le religiose per seguire la messa e le sacre celebrazioni.
Tra le opere d’arte della chiesa una Immacolata di S. Lo Monaco (fine Settecento), un S. Benedetto di M. Rapisardi (1822-1886), l’altare del SS. Crocefisso con il fondo di marmo scuro, il Martirio di S. Agata affresco di autore ignoto datato al 1726.