Era il 6 maggio 1755 quando l'Abate , padre Anselmo Valdibella, si affidava alla sapienza ed alla tecnica di Donato Del Piano per la costruzione dell'organo che doveva risultare "ad proportionem templi"; aveva così inizio la laboriosa realizzazione di quest'opus mirabile fastoso ed irripetibile.
Ubicato in cantoria ed addossato alla parete di fondo dell'abside, lo strumento è racchiuso da una monumentale cassa il cui prospetto mistilineo e riccamente decorato con preziosi intagli, è suddiviso in otto campate. Le cinque inferiori sono composte da 53 canne sonanti, mentre quelle superiori da 21 canne mute.
Di grande effetto scenografico il complesso cantoria/cassa dell'organo che ben si discosta dal sottostante coro grazie al raffinato uso della tecnica di doratura.
Lo strumento è dotato di cinque tastiere posizionate nel basamento della cassa in apposite consolle che comandano quattro corpi sonori.
Nella consolle di centro vi sono tre tastiere che comandano il corpo d'organo "Maggiore", l'Eco e , mediante un sistema meccanico ingegnoso quanto complesso, anche i due corpi laterali di destra e di sinistra; una pedaliera aziona i contrabbassi da 16 piedi.
Le tastiere poste nelle consolle laterali comandano i rispettivi corpi d'organo.
Questa particolare disposizione delle tastiere e delle consolle permette, contemporaneamente, l'uso dello strumento da parte di tre organisti.
L'interesse dell'organo, oltre all'imponente prospetto, è dovuto alla ricchezza timbrica offerta dai 72 registri a cui corrispondono 2378 canne, delle quali 304 in legno di castagno e le rimanenti in lega con alta percentuale di stagno. L'utilizzo del prezioso metallo, garanzia certa di un ottimo risultato finale, ha però compromesso la conservazione nel tempo del materiale fonico. Lo stagno ha infatti subito le ingiurie del clima marittimo, che ha causato una diffusa quanto profonda corrosione dei corpi sonori, ben visibile anche sulle canne di facciata, rendendo assai complesso il lavoro di restauro.
Donato Del Piano ha voluto dotare lo strumento di una notevole varietà timbrica, infatti oltre ai consueti registri, tipici dell'organaria italiana, il sacerdote napoletano ha introdotto file di canne delle più svariate fogge e forme al fine di ottenere delicate sfumature sonore.
Oltre al cristallino ripieno numerosi sono i tipi di flauto caratterizzati da bocche tonde, corpi svasati o conici, canne in legno con doppie bocche oltre ad un inusitato clarino in legno di particolare effetto ed un tromboncino di metallo di tipo veneziano.
Il risultato finale mette ben in evidenza la ricerca di Donato Del Piano, volta ad ottenere delicate sonorità lontane dal vigore timbrico proprio di altre realtà organarie; e nell'intendimento di rendere ancora più particolare l'opera, poco prima della morte, nel 1785, Del Piano realizzò l'"Uccelliera", un organetto automatico dotato di rullo, con due melodie e tre registri.
Nel 1819 Antonino Rizzo arricchì l'organo di altri "effetti speciali", quali la "grancassa" e la "banda turca".
L'alimentazione dello strumento è garantita da 6 mantici a cuneo, azionabili manualmente mediante stanghe; oggi è anche presente un elettroventilatore.
La conservazione ed il restauro
Alla morte di Donato Del Piano l'ordinaria manutenzione dello strumento fu affidata a due suoi allievi: Antonino Mazzone e Mariano Cinquemani; tale compito passò, poi, ad un loro discepolo, don Antonino Rizzo di Messina.
Fu nel 1925, nel corso della costruzione del Sacrario dei Caduti, che si decise di affidare il restauro dell'organo ai fratelli Polizzi di Modica, sotto la supervisione dell'organista e compositore M. E. Bossi. Fino a tutto il dopoguerra sembra che solo 54 canne fossero state danneggiate a seguito di cannoneggiamenti, subiti dalla Chiesa, subito dopo lo sbarco alleato.
Nel 1954 fu chiamato a Catania don Antonino Allegra, organista a Roma, in S.Pietro, che tracciò una relazione, andata perduta, sullo stato di conservazione dell'organo. Nel 1957 alcune canne vennero danneggiate durante l'allestimento scenografico di uno spettacolo. Misteriose le cause del successivo smontaggio dello strumento, le parti smontate furono abbandonate senza alcuna cura rendendo l'attuale restauro assai difficoltoso.
A seguito di un finanziamento concesso nel 1998 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, integrato nel 2000 dal Comune di Catania, i lavori per il restauro dell'organo vengono affidati alla Famiglia organara Mascioni di Azzio, in provincia di Varese, che ha provveduto a smontare lo strumento e trasferire i pezzi presso il proprio laboratorio. Sono stati necessari più di tre anni di lavoro e l'impegno di una commissione di esperti, incaricata dal Comune, presieduta dal professore F. Tagliavini e formata dal dott. L. Buono, dal maestro G. Libertucci, dal prof. D.Miozzi e dal sig. F.Oliveri, che ha seguito e concordato fasi e scelte del restauro.
Le parti lignee dell'organo sono state sottoposte ad un trattamento disinfestante, le cinque tastiere di castagno con placcatura in osso ed ebano, sono state accuratamente restaurate, sono stati ricostruiti i sei mantici a cuneo e ripristinate le canne di legno nelle parti mancati con inserti dello stesso materiale.
La parte più delicata dell'operazione ha riguardato le canne di metallo, corrose dal tempo e dall'aria salmastra, il cui restauro è consistito nel recupero delle forme e nell'integrazione delle parti danneggiate.
Il montaggio dello strumento è durato oltre due mesi, seguito dalla delicata opera di intonazione ed accordatura.
I lavori di risanamento della zona absidale e di consolidamento e restauro della cassa lignea sono stati eseguiti dalla R.T.I. Geraci s.r.l. di Messina, che ha provveduto ad un certosino lavoro di pulitura e disinfestazione sia della struttura portante, che di quella decorativa della cassa, senza operare alcuna stuccatura o reintegrazione pittorica delle parti mancanti, seguendo un criterio di recupero dell'originale rigorosamente filologico.
Così si è concluso il complesso lavoro di restauro che ha riconsegnato questo impareggiabile strumento alla città, per poterne contemplare la bellezza ed udirne le note; condividendo, in tal modo, lo stupore che provò Wolfgang Goethe, il quale, durante la sua visita a Catania nel 1787, dopo aver ascoltato don Vincenzo Cordaro che lo suonò per lui, ebbe a scrivere: " nella chiesa che è molto vasta, l'organo gemeva, volta a volta, o rimbombava fragoroso, penetrando fin negli angoli più remoti", ed oggi,tornato all'antico splendore di allora è, finalmente, restituito alla nostra ammirazione.
Donato del Piano
Il napoletano Donato Del Piano visse tra il 1704 ed il 1785, trascorrendo gran parte della sua vita in Sicilia, dove divenne, anche, sacerdote dopo il 1743. Non si hanno notizie sulla sua formazione che avvenne probabilmente in patria con il fratello Giuseppe, insieme al quale si trasferì a Siracusa, dove nel 1725 effettuò il restauro del seicentesco organo della Cattedrale, probabilmente su invito del maestro di cappella della stessa, il napoletano Giuseppe Gennaro.
Nel primo periodo trascorso in Sicilia, Del Piano realizzò alcuni strumenti con il fratello nella zona orientale dell'isola ed a Malta; successivamente, trasferì la propria residenza a Catania, dove risulta presente verso la metà del secolo XVIII, proseguendo la propria attività di costruttore e restauratore di organi in tutta la Sicilia, mentre non è stata ancora documentata una sua probabile attività cembalistica.
Nel 1772 Donato Del Piano avanzò un'istanza al Senato di Catania per aprire e gestire a proprie spese un forno presso l'Ospedale S.Marta, in zona Montevergine, a poca distanza dal monastero dei Benedettini e dal Bastione del Tindaro. Il pane bianco alla francese, prodotto dal forno, era destinato ai poveri degenti dell'Ospedale e del Reclusorio delle Vergini Donzelle di Catania. Le attività filantropiche di Del Piano trovano ulteriore testimonianza nella fondazione, a sua opera, del Conservatorio degli Orfani di Piazza Armerina, città dove l'organaro aveva realizzato tre organi per la chiesa madre e strumenti per le altre chiese.
Con i proventi della sua attività riuscì a costituire una collezione di cinquantatre quadri che nel 1775 vendette ai Benedettini per il Museo del Monastero di S.Nicolò.
L'organo della Chiesa Benedettina di S.Nicola l'Arena in Catania venne commissionato a Donato Del Piano con un contratto notarile del 1755, nel quale venne prevista la realizzazione di un grandioso strumento" , non solo proporzionato a detto Gran Tempio ma il maggiore di quelli che vi sia nel Regno d'Italia".
Successivamente, nel 1763, si stipulò l'accordo con il Del Piano per il completamento dell'organo e per la realizzazione del monumentale prospetto, per il quale operò anche il famoso intagliatore napoletano Gaetano Franzese.
L'opera, terminata nel 1767, costò dodici anni di lavoro, ma Donato Del Piano continuò a perfezionarla ed ingrandirla fino agli ultimi anni della propria vita e chiese, infine, ai Benedettini di poter essere seppellito, alla morte, sotto la sua creazione.
L'organo rappresentava un'opera unica nel suo genere e per tale motivo costituiva un richiamo per tutti i visitatori che si recavano, al tempo, in Sicilia: ne rimasero incantati viaggiatori e scrittori dal Brydone al Goethe al Rezzonico e divenne modello d'ispirazione per la realizzazione di altri grandiosi strumenti in Sicilia, quali l'organo della Matrice di S.Flavia (1791), lo strumento della Chiesa di S.Pietro a Trapani (1842) e quello della Chiesa di S.Martino delle Scale (1857).